di Mario Fabbri Apolloni
Quando non indossa una maschera a coprirle la bocca per indicare il suo mutismo, la personificazione della
pittura che parla silenziosa negli occhi soltanto, dipinta dagli antichi, viene rappresentata in molti casi come
una donna che possiede una maschera appesa al collo. Diventa quindi un simbolo dell’imitazione della natura: l’arte imita la realtà , come un attore sotto mentite spoglie che deve recitare il personaggio della sua maschera. Vogliamo rendere omaggio al connesso tra la maschera e la pittura in questa mostra della Galleria del Laocoonte dal titolo “La Commedia dell’Arte”, dedicata alle maschere italiane nell’arte del Novecento.
Al centro di questa raccolta tematica, vi è un’opera particolare dell’artista visionario Alberto Martini (1876-
1954), un precursore del surrealismo. La serie “Il Libro delle Ombre” del 1904 consiste di 29 disegni in china acquerellata che raffigurano volti mascherati di ogni tipo. Facce piene, falze, visiere, mezze maschere, mantelli neri con cappelli a tre punte del Settecento veneziano; il tutto disegnato con colpi di pennello rapidi come nei disegni cinesi, notturni e misteriosi nel carattere, illustrazioni di qualche drammatico racconto gotico le cui parole sono ormai perdute. Questi visi enigmatici e ossessivi sembrano delle macchie di Rorschach che appaiono in un incubo, popolando qualche interminabile notte veneziana, nella quale non saremmo sorpresi di incontrare gli occhi inquietanti, e truccati pesantemente di bistro, della Marchesa Casati, famigerata per organizzare eccentrici balli in maschere veneziane, di cui Martini era un disegnatore di costumi e anche ritrattista.
Avendo in mente le memorie figurative del Tiepolo, proprio Venezia, con i suoi antichi carnevali dove nei
teatri indossavano maschere tanto gli attori in scena che il pubblico in sala, la capitale ideale delle maschere.
Un grande dipinto di Ugo Rossi (1906-1990), lungo quasi 4 metri, rappresenta piazza San Marco a Venezia
piena zeppa di gente in costumi carnevaleschi, colorati e di ogni foggia. Tempo fa, quest’opera svettava nel bar di una di quelle navi transatlantiche di lusso che incarnavano l’ottimismo entusiasta post-bellico, un modo per rappresentare l’Italia come un paese in continua festa dopo gli orrori e le distruzioni del conflitto appena trascorsi.
Scene veneziane con maschere di carnevale erano uno dei soggetti preferiti da parte dell’artista Umberto
Brunelleschi (1879-1949), un toscano che ebbe un grande successo a Parigi come disegnatore di costumi, scenografo e illustratore di moda. Di lui abbiamo due dei suoi tipici pochoirs con corteggiamenti amorosi di coppie e uno studio per una locandina dedicata ad una festa veneziana tenuta al Cercle de l’Union Interallièes di Parigi.
In un altro acquerello realizzò un autoritratto come uno studio per un poster che pubblicizzava l’opera teatrale La maschera e il volto, un’opera oggigiorno dimenticata di Luigi Chiarelli ma che al tempo ebbe un successo internazionale, sulla scia dell’esempio influente di Pirandello.
Direttamente ispirato dallo stesso Pirandello fu il pittore Giovanni Marchig. La sua opera pi importante,
Morte di un autore (1924), che raffigura un drammaturgo morto sulla sua scrivania circondato da tutti i personaggi della Commedia dell’Arte in lutto, ora a Palazzo Pitti. Egli fu un pittore incantevole, poco conosciuto perchè lasci perdere la pittura sul finire della sua vita per diventare un rinomato restauratore di dipinti antichi, tra l’altro molto vicino a Bernard Berenson. La sua fama attuale risale principalmente per essere stato il proprietario del controverso disegno di Leonardo La Bella Principessa. La Galleria del Laocoonte è orgogliosa di presentare una scoperta recente di un’opera di Marchig (1933), ovvero un ritratto di un giovane attore vestito come Arlecchino. Egli ha il suo costume multicolore ma non indossa la maschera, non in scena e si sta riposando con le braccia conserte. Stavolta l’enfasi è sul volto, sulla persona reale dell’attore quando non è “posseduta” dal ruolo del suo personaggio.
Cezanne introdusse le maschere italiane nella pittura moderna, poi Picasso seguì il suo esempio nel suo periodo blu, ma certamente il pittore moderno che più di tutti scelse e glorificò Arlecchino e Pulcinella come suoi soggetti prediletti, e specchio della sua stessa anima, fu Gino Severini (1883-1966). Gli affreschi con danze e giochi mascherati che dipinse per Sir George Sitwell nel suo castello a Montegufoni in Toscana sono una piccola e gioiosa Cappella Sistina dell’arte del Novecento. Un grande cartone di Severini per un Concerto dipinto ad olio tra il 1942 e il 1943 sar esibito con due meravigliose pochoirs e un pastello grasso di Arlecchino e Pulcinella, disegno preparatorio per una famosa litografia.
Dopo la Prima guerra mondiale, l’uomo che più promosse come apice di moda lo stile dei balli mascherati
veneziani del Settecento fu certamente il pittore francese Jean-Gabriel Domergue (1889-1962). Il suo Bal Vènitien del 1922 all’Opera di Parigi fu solo il primo di una lunga serie, tenuta successivamente a Monte Carlo, Cannes, Biarritz e Deauville. Egli disegnava i costumi, i programmi, le locandine e dipingeva le più importanti e aristocratiche beltà dell’epoca come se fossero provocanti damigelle veneziane, uscite da qualche alcova di Casanova. L’artista decorava anche le residenze e i locali notturni pubblici con tele indorate, magnificamente abbozzate con delle scene eleganti e da sogno di carnevali veneziani. Un’idea di come dovevano essere, ora per lo più disperse se non distrutte, può essere apprezzata nell’insieme proprio alla villa di Domergue a Cannes, ora adibita a museo dove la Giuria del Festival del Cinema risiede quando deve assegnare la Palma d’oro. Tre rari pannelli decorati con foglie d’oro di Domergue con gondola, maschere amorose e bellissime veneziane sono tra i pezzi pi preziosi di questa mostra.
È decisamente il mondo di Casanova, re-interpretato con lo spirito degli “annèes folles”. Il famoso seduttore
veneziano viene raffigurato con la maschera lunga e avente in ciascuna mano una marionetta mascherata. Infatti questo è lo studio per la copertina di un’opera teatrale, Il matrimonio di Casanova (1910), dove l’eroe del titolo diventa un burattinaio di tutti i personaggi nella trama. L’opera in questione di Oscar Ghiglia (1876-1945), che fu il pittore preferito di Ugo Ojetti, il più importante critico d’arte italiano del tempo, autore della commedia assieme a Renato Simoni.
Vi sono maschere metafisiche al centro delle enigmatiche nature morte nei dipinti di Marisa Mori, allieva di
Casorati, ve ne sono altre in una delle prime opere di Aligi Sassu (1929). Fra le tante, un’illustrazione toccante di Arlecchino portato in paradiso dagli angeli, del disegnatore Enrico Sacchetti appartenuta al famoso attore Ettore Petrolini. Di Ettore Petrolini, “maschera nuda”, più espressiva di ogni faccia di cuoio, cartone o cartapesta, mai portata in scena, sono esposti tre ritratti, ad acquerello, ad olio e in bronzo. Omaggio ad una fisionomia che la natura creò per il teatro.
Attribuito ora a Mario Barberis (1893-1960), è un disegno originale per la copertina di una delle raccolte di
racconti brevi di Pirandello, Terzetti del 1912, dove una musa si diverte a indossare una maschera dopo l’altra. Un altro Arlecchino dell’artista Pino Pascali (1935-1968), inventato quando era impegnato a produrre cartoni animati per la pubblicità televisiva. Arlecchino infatti era il nome di una celebre marca di pomodori in scatola: la pummarola, la commedia dell’arte. L’Italia tutta in un barattolo di latta.
- Luogo: GALLERIA DEL LAOCOONTE
- Indirizzo: Via Monterone 13/13 A 00186 – Roma
- Quando: dal 23/02/2022 – al 30/05/2022
- Curatori: Monica Cardarelli